Libri di arte, poesia e filosofia

La parola verso proviene dal verbo latino vertere, cioè «capovolgere», in particolare la terra con un aratro. Il verso è allora un solco, una linea dritta in cui l’uomo col proprio lavoro pone i suoi semi che germoglieranno: nel verso, così, convergono la linearità naturale degli eventi e l’impegno fruttifero del pensiero umano.

venerdì 31 marzo 2017




Mario Fresa

Questionario di poesia

(61)


Aldo Ferraris





Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?

Poesia è ricerca di senso, principalmente. Una ricerca linguistica, ma anche di contenuto, che dona la possibilità di scrutare in se stessi con uno sguardo più consapevole e sereno. La poesia è anche quello strumento che deve incrinare e spaccare la crosta che consuetudine e banalità hanno creato sulle parole, liberandole, per giungere al significato primo e luminoso che celano, come nucleo primo. È questo a cui tendo, allo svelamento della parola.


Come nasce, in te, una poesia?

Valery ha scritto: «Il primo verso ce lo regalano gli dei, gli altri sono una rivisitazione di quel primo verso». Credo che per la mia poesia sia così, ho sempre atteso, mai forzato la scrittura.


Un poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?

Per quanto mi riguarda, la mia poesia è una poesia ontologica, che parla dell’essere e non dell’io. La mia non è una poesia di cronaca o di memoria, è poesia di concetti, di condivisioni, di domande. Una poesia che si basa su immagini e metafore, riprendendo il concetto elotiano di "correlativo oggettivo". Cioè descrivere sentimenti, sensazioni, concetti filosofici attraverso immagini concrete che possano essere evocative del pensiero che si vuole esprimere.


A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?

Potrei citare alcuni versi del poeta Reiner Kunze: La poesia / è per il poeta un bastone da cieco/con cui lui tocca le cose / per poterle riconoscere. Quindi, moscacieca.


Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?

Direi l'inesausto bisogno di rappresentare il non dicibile.


Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?

Potrei citare Pessoa: Il poeta è un fingitore. /Finge così completamente/che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente. Credo che la finzione, il mascheramento, almeno per me, sia una sorta di protezione, di schermo, che il poeta erige di fronte al lettore, per non mostrarsi completamente, per non aprirsi a ogni giudizio, per salvaguardare la propria intimità. Così facendo si corre il rischio dell’oscurità, ma è un rischio che ogni poeta corre quando si accetta la scrittura.


Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?

Un poeta francese, di cui ho tradotto alcune poesie: Jacques Ancet.


Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?

Un tratto indelebile che deve caratterizzare un poeta è l’umiltà, perché la poesia è un dono e bisogna utilizzare questo dono nel modo migliore possibile, anche per chi questo dono non lo possiede. Quindi auguro a ogni vero poeta l’umiltà.


Puoi citare un verso che ti è particolarmente caro?

In Du Mouvement et de l'Immobilitè de Douve, Yves Bonnefoy scrive: «Parola a me vicina / che cercare se non il tuo silenzio / quale bagliore se non la tua / profonda coscienza sepolta …»








martedì 14 marzo 2017

Apollinaire nella nuova lettura di Mario Fresa


Recensione di GIUSEPPE MANITTA

Mario Fresa

Siri Nergaard nell’introduzione al volume miscellaneo “Teorie contemporanee della traduzione”, uscito per Bompiani in ristampa nel 2014, sostiene che sia opinione di molti considerare la traduzione alla stregua di una riproduzione identica dell’originale. Leggendo le traduzioni di Mario Fresa confluite nel suo recente libro “In viaggio con Apollinaire” (con disegni di Massimo Dagnino, edizioni d’arte L’Arca Felice), ci viene in mente per contrasto il passo appena citato e, in contemporanea, un’operetta un po’ più antica: il “De interpretazione recta” di Leonardo Bruni. A distanza di oltre cinquecento anni (l’opera bruniana è databile tra il 1420 e il decennio successivo), il problema-traduzione come fedeltà e interpretazione permane e, in alcuni casi, con i medesimi termini. I testi di Mario Fresa, dunque, prima ancora che essere letti come semplici traduzioni debbono essere considerati secondo il loro valore letterario, individuando il “senso” che l’autore ne vuole dare. Sarei molto cauto nel definire “tra-ductio” quanto Mario Fresa ci offre, ma mi riferirei ai suoi testi nel termine di imitazioni, come riappropriazione di Apollinaire, perché non possiamo sottovalutarne la correlazione con altri testi e il ripensamento in un contesto altro (Bachtin). I versi vanno oltre, dunque, il “trans-ducere”, ma vivono di una luce propria, potremmo dire cogliendo l’anima del loro archetipo. Questo è il valore che Mario Fresa ci permette di cogliere, a mio avviso.


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